Terzo settore: un 2019 con almeno 3 trasformazioni
di Luca Gori, docente Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa
Terzo settore: un 2019 con almeno 3 trasformazioni

Se il 2016 è stato l’anno della legge-delega,

il 2017 l’anno dell’emanazione del

Codice e degli altri decreti legislativi ed il

2018 quella del suo perfezionamento (non

senza qualche fibrillazione derivante dalle

elezioni politiche), il 2019 è destinato ad

essere l’anno dell’avvio di diverse «trasformazioni

» del Terzo settore italiano.

Quasi sicuramente nel corso dell’anno

non sarà istituito il Registro unico nazionale

del Terzo settore e proseguirà il regime

transitorio; la legge di bilancio per

il 2019, probabilmente, costituirà l’occasione

per ulteriori cambiamenti e ripensamenti

da parte della politica. Tuttavia, fra

luglio ed agosto scadranno i termini

per l’adeguamento degli statuti delle

ODV, delle APS, delle Onlus e delle

imprese sociali. Da quel momento, si

potranno iniziare a misurare e valutare

alcune trasformazioni innescate

dalla riforma.

La prima. L’adeguamento degli statuti

è stato solo un processo “meccanico”

di sostituzione delle vecchie

clausole con quelle nuove obbligatorie

dettate dal legislatore, oppure si

è innescato, effettivamente, un percorso

di ripensamento della missione

degli enti, delle attività da compiere

per raggiungerla, delle modalità con

le quali le attività sono svolte, della

governance?

La risposta a questo quesito appare

fondamentale. Se, infatti, il processo

di modifica degli statuti sarà stata una

ordinaria, banale manutenzione dello statuto,

potremmo dire che la riforma ha fallito

uno dei suoi obiettivi.

Se, invece, ciascun ente avrà riaperto una

discussione seria sul progetto di cambiamento

della comunità che intende realizzare

e avrà compiuto lo sforzo di scegliere

liberamente una veste giuridica adeguata,

allora potremmo dire che il Terzo settore

è uscito rafforzato dalla “prova” della

riforma.

La seconda trasformazione di cui dovremo

prendere atto nel corso del 2019 riguarderà

il modo in cui ciascun ente svolgerà e

rendiconterà la propria attività. Il Codice

fissa alcuni “paletti” a garanzia di adeguati

livelli di trasparenza e pubblicità delle

attività svolte (dall’obbligo di utilizzare

una lingua comune per i bilanci di esercizio,

al bilancio sociale, alla pubblicità di

altri dati, ecc.). Ma essi non sono, in verità,

né troppo impegnativi né troppo indicativi

della realtà di fatto (il legislatore chiede

di pubblicizzare molti dati, ma spesso non

si chiede a quale fine e per chi…). La vera

sfida posta dalla riforma è, invece, quella

di valorizzare l’impatto sociale, chiedendo

a tutti gli enti non semplicemente di svolgere

attività di interesse generale, bensì di

svolgerle in modo tale da lasciare entro

la comunità di riferimento segni durevoli

e tangibili di cambiamento in positivo.

Ciò richiede che tale cambiamento sia

dapprima immaginato, poi realizzato effettivamente

ed infine misurato e reso

conoscibile a tutti i portatori di interesse:

donatori, utenti, istituzioni, cittadini, ecc.

Nel corso del 2019, dovrebbero vedere la

luce le linee guida per la realizzazione del

bilancio sociale, del bilancio di esercizio

e per la misurazione dell’impatto sociale.

Partecipare a questo processo trasformativo

sarà essenziale per tutti gli enti del

Terzo settore.

La terza trasformazione riguarda – a

mio giudizio – il volontariato. Nell’anno

nuovo dovremo riuscire a mettere

a fuoco questo tema, disciplinato

in forma non chiarissima nel Codice.

Al di là della definizione generale, infatti,

molti aspetti puntuali dello status del

volontario e dell’attività di volontariato

sono decisamente oscuri (dall’iscrizione

al registro dei volontari, al computo della

prevalenza dell’attività dei volontari

associati, ecc.). Eppure, la sfida vera non

è tanto quella interna alla riforma (cioè

della sua interpretazione o applicazione,

potremmo dire), bensì quella esterna: si

diffondono sempre di più nel nostro Paese

gruppi spontanei, costituiti da singoli

individui che liberamente si

incontrano, intraprendono azioni

solidaristiche, spesso ad alto tasso

di innovazione, ma che sfuggono

a qualsiasi qualificazione giuridica.

Leggere la loro attività attraverso

il Codice del Terzo settore fa apparire

quest’ultimo – nonostante

la sua giovane età – quasi vecchio

ed obsoleto.

Ecco, allora, che serve uno sforzo

creativo non piccolo per riuscire a

cogliere questi “germogli” di novità

e incrementare il numero di cittadini

attivi coinvolti nelle attività

di interesse generali in forme, fino

a qualche tempo fa, neppure immaginate.

Basti pensare agli effetti

delle piattaforme digitali.

Per una organizzazione come

AVIS, queste tre dimensioni sono tutte

presenti e si intersecano fra loro, determinando

la necessità di grandi scelte e, ad un

tempo, grandi opportunità.

Con una aggiunta significativa, mi pare:

AVIS nazionale è chiamata a farsi «rete associativa

nazionale», assumendo un ruolo

di infrastruttura a supporto delle attività

dei livelli territoriali che il Codice le attribuisce,

ed accompagnando i processi

di trasformazione che si sono descritti.

Per diffusione territoriale, capacità di mobilitazione

e attività di interesse generale

svolta, AVIS è candidata naturalmente a

costituire un modello ed un laboratorio

per l’intero Terzo settore italiano.